Continuo

Le parole della musica

con-tì-nuo

Significato Ininterrotto; in musica, basso strumentale notato su un solo pentagramma, che accompagna senza interruzioni voci o strumenti, riassumendo con numeri e accidenti l’armonia di una composizione; fu particolarmente in uso nel XVII e XVIII secolo

Etimologia dal latino continuus ininterrotto, derivato di continère ‘mantenere, trattenere’, formato da cum- e tenère ‘tenere, possedere, trattenere’, dalla radice indoeuropea ricostruita come ten- ‘tendere, distendere’.

  • «Trasmettiamo, di Antonio Vivaldi, il Concerto in Re maggiore Op. 3, n. 9, per violino, archi e basso continuo.»

Il ‘continuo’ fu una pratica così rappresentativa del barocco musicale che nel 1922 il grande studioso tedesco Hugo Riemann definì l’intero periodo come ‘l’epoca del basso continuo’, Das Generalbaßzeitalter.

L’aggettivo sostantivato continuo ha origine infatti dalla locuzione basso continuo, che è solo una delle numerose impiegate dai compositori italiani dal 1600 circa in poi. Questa prevalse probabilmente poiché uno dei primi grandi esponenti della pratica, Lodovico Grossi da Viadana, pubblicò nel 1602 Cento concerti ecclesiastici… con il basso continuo. Il libro riscosse ampia notorietà e in breve tempo Viadana si guadagnò l’appellativo di ‘inventore del basso continuo’ sebbene, ad esempio, la Rappresentazione di Anima et di Corpo di Emilio de’ Cavalieri del 1600 presenti il ‘basso continuato’.

Il continuo è un basso strumentale che ‘attraversa’ l’intera composizione, senza le pause caratteristiche di una linea vocale (altrimenti non sarebbe continuo…). Breve inciso: il basso è la parte (cantata o suonata) più bassa; strumentale significa per strumento e non per voce. Tutte le orchestre, tutte le bande, hanno uno strumento basso che regge l’intera l’armonia. Anche i Beatles avevano il basso elettrico, suonato da Paul McCartney.

Ma torniamo al continuo: come mai si diffuse? Quando i cantori si assentavano o davano forfait all’ultimo momento, l’organista o lo strumentista di turno si trovavano a dover supplire, rimpiazzando le voci mancanti. Finché il pezzo era composto per un organico a tre o quattro parti, era relativamente semplice suonarle, attuando quella che veniva definita una reductio partiturae.

Se l’organico polifonico era numericamente superiore, tornava molto utile avere un sintetico riassunto già pronto. Il continuista infatti aveva davanti soltanto una scarna linea di basso, per capirci, non come avviene in uno spartito di pianoforte, con due pentagrammi combinati in un sistema unitario.

Basta dare un’occhiata a una composizione del Seicento o del Settecento per riscontrare numeri e segni di alterazione, diesis, bemolli e bequadri, vicino al pentagramma del continuo, che servono a specificare i desiderata del compositore. Le prescrizioni aumentano nel caso in cui le possibilità di realizzazione armonica siano molteplici.

Francesca Caccini, Che fai misero core, dal Primo libro delle musiche, Firenze, 1618

In quest’esempio, sotto il pentagramma superiore del canto se ne trova un altro strumentale: è quello del continuo. Il bemolle cerchiato in rosso, in questo caso prescrive che l’accordo dev’essere minore (per esempio: La-Do-Mi, minore, e non La-Do#-Mi, che è maggiore). Il diesis davanti al 3 nella seconda casella, stabilisce invece che l’accordo corrispondente deve avere la terza maggiore, quindi Fa diesis. Sembra complicato, ma la procedura è analoga a quella oggi impiegata nel pop o nel jazz, dove una sigla accordale rimanda a una determinata armonia.

L’esecutore barocco in base alla sua fantasia decideva se procedere arpeggiando, aggiungendo mordenti, trilli, acciaccature, inserendo imitazioni o altro. Lo stile d’accompagnamento differiva, anche notevolmente, in base all’epoca, al luogo e allo strumento polifonico utilizzato; occorreva ovviamente conoscere molto bene la musica e il contrappunto.

Nelle opere del periodo barocco, appunto con il basso continuo, si poteva comporre un’intera aria usando due sole righe, una per la voce e l’altra per il continuo. Un bel risparmio di carta, d’inchiostro e di tempo. Tutti sapevano scrivere e suonare un continuo: da Vivaldi a Bach, fino a Mozart o a Beethoven.

Gli strumenti polifonici per realizzarlo potevano essere ‘da tasto’, come l’organo e il clavicembalo, oppure ‘da corda’, come la tiorba, il liuto, l’arpa o la chitarra. Anche quelli monodici di registro grave, come il basso di viola da gamba, il violoncello o il fagotto, eseguivano la linea del continuo. Erano indispensabili soprattutto nel caso di strumenti che non avevano un’estensione adeguata verso il grave, come la chitarra barocca.

E con questa calura estiva, si può tentare di trovare refrigerio in una delle stracelebri Stagioni di Vivaldi (magari non l’Estate!), ovviamente con l’immancabile continuo.

Parola pubblicata il 23 Luglio 2023

Le parole della musica - con Antonella Nigro

La vena musicale percorre con forza l'italiano, in un modo non sempre semplice da capire: parole del lessico musicale che pensiamo quotidianamente, o che mostrano una speciale poesia. Una domenica su due, vediamo che cos'è la musica per la lingua nazionale