Presupposizione
pre-sup-po-si-zió-ne
Significato Ciò che si dà per scontato, per già noto o condiviso, quando si afferma qualcosa. In linguistica e filosofia del linguaggio, indica ciò che deve essere vero affinché un’affermazione abbia senso, indipendentemente dal fatto che l’affermazione stessa sia vera o falsa
Etimologia dal latino medievale praesuppositione, formato da prae- ‘avanti’ e suppositio ‘supposizione’, dal verbo suppònere ‘mettere sotto, supporre’.
- «Se tu hai ricevuto l’invito alla festa, ma io no, la presupposizione è comunque chiara: una festa ci sarà… e io non sono il benvenuto!»
Parola pubblicata il 11 Dicembre 2025 • di Greta Mazzaggio
La presupposizione è la palafitta di ogni nostro discorso: se i pali non sono ben saldi a quel terreno, troppo spesso paludoso, tutto ciò che ne nasce sopra è pericolante. Infatti, ogni volta che apriamo bocca, non partiamo mai dal punto zero: entriamo in scena con un bagaglio di cose che trattiamo come ovvie, condivise, già presenti nella mente dell’altro. Quando dico «Ho smesso di fumare», la presupposizione è che un tempo fumavo. Non lo affermo esplicitamente, eppure è lì, posto come base necessaria perché la frase abbia senso. Se qualcuno mi chiede «Quando hai iniziato a fumare?», sta accettando quella presupposizione; se invece ribatte «Ma tu non hai mai fumato!», la sta contestando.
È un meccanismo utile, quasi indispensabile: se dovessimo esplicitare ogni premessa, parleremmo come manuali d’istruzioni, come dei robot petulanti che non arrivano mai al punto. Ma proprio perché è utile, è anche scivoloso. La presupposizione permette di far circolare un contenuto senza doverlo assumere apertamente, di dire senza dire, senza prenderne la responsabilità. Una scorciatoia discreta, che a seconda dell’uso può diventare una comodità… o un nascondiglio, un pertugio.
Nella vita quotidiana, la presupposizione lavora spesso al posto nostro. Una domanda come «Ma davvero sei ancora in ritardo?» non descrive solo una momentanea lamentela: insinua un’abitudine, magari anche leggermente fastidiosa. Un innocente «Dove hai messo il telecomando?» dà per certo che tu lo abbia toccato per l’ultima volta. In poche parole, la presupposizione sposta il discorso dalla richiesta all’attacco velato, senza che nessuno abbia pronunciato una vera accusa. È il linguaggio che fa il lavoro sporco al posto nostro, e in un battibaleno il nostro destinatario si trova in trappola.
E poi c’è la sua straordinaria tenacia. Riprendiamo l’esempio di prima: posso negarlo, capovolgerlo, riformularlo quanto voglio, ma la presupposizione resta incollata sotto, intatta, come un post-it che non ne vuole sapere di staccarsi. Posso quindi dire «Non ho smesso di fumare», ma la base implicita non si muove: per poter negare quella frase, devo comunque presupporre che, a un certo punto, fumassi. È questa sua resistenza a renderla così efficace: lavora nel fondo, nella parte stabile del discorso, quella che tutti tendiamo ad accettare perché assumiamo che sia condivisa. Ma condivisa da chi? E da quando?
Nella comunicazione influente – politica, mediatica, pubblicitaria – la presupposizione è un’alleata preziosa. È il modo più elegante per far passare una tesi senza doverla difendere, per trasformare un’opinione in un dato di fatto, per presentare un mondo già organizzato prima ancora che l’interlocutore abbia il tempo di sospettare che fosse solo una delle tante versioni possibili. Mentre ci concentriamo su ciò che viene detto, ciò che viene presupposto ci scivola dentro con una facilità disarmante. Non serve molto: basta affermare che «Il nuovo governo dovrà affrontare la crisi economica ereditata» perché la crisi diventi un fatto e la sua origine una storia già scritta. Oppure dire «Questa lavatrice, così resistente, è proprio quello di cui avete bisogno» per far passare come indiscutibile – prima ancora che venga dimostrata – proprio la sua presunta resistenza.
Eppure, nonostante questo potere, la presupposizione non è un trucco maligno: è la struttura stessa della comunicazione umana. Siamo creature che parlano completando, anticipando, prevedendo, immaginando. La presupposizione fa parte di questa agilità, di questa fiducia istintiva nella continuità del dialogo. Ci permette di andare avanti, anche se qualche volta ci tradisce e ci si rivolta contro. Forse, permettetemi, il segreto non è diffidarne, ma imparare a leggerla. A capire quando sta davvero aiutando la conversazione e quando invece la sta orientando senza dichiararlo, quando ci sta manipolando, abbindolando. Perché, diciamocelo, dietro molte presupposizioni non si nasconde una mera informazione taciuta: spesso si nasconde chi le pronuncia.