Raggio
ràg-gio
Significato Emanazione di luce (o altro tipo di radiazione) da una sorgente, in particolare ciascuna delle direzioni lungo le quali si propaga; in senso metaforico, manifestazione spirituale o affettiva che si irradia; in meccanica, una delle aste che collega il mozzo di una ruota al cerchio esterno; in geometria, segmento che collega il centro alla circonferenza di un cerchio, o alla superficie di una sfera
Etimologia dal latino radius (in origine con significato di ‘ramo, bastone’), a sua volta dalla radice indoeuropea ricostruita come wrad- con gli stessi significati.
- «Un raggio di sole mi ha abbagliato, sono finito in una buca e i raggi della bici si sono spezzati. Hanno sentito il mio urlo nel raggio di un chilometro.»
Parola pubblicata il 05 Aprile 2024
Parole della scienza classica - con Aldo Cavini Benedetti
La lingua è costellata di termini che parlano della scienza antica e classica, e dei suoi protagonisti. Con Aldo Cavini Benedetti, un venerdì su due recupereremo la loro splendida complessità.
Raggio è una di quelle parole che usiamo con scioltezza in molteplici accezioni, e non solo in contesti prosaici, ma anche a livelli altissimi di poesia. Pensiamo a questi, che sono fra i versi più celebri della poesia italiana:
Salvatore Quasimodo si riferisce a raggi di luce, ma la parola ‘raggio’ ha un tale numero di accezioni che un elenco è arduo da completare. Viene quindi da chiedersi quale sia la pianta che dà origine a una diramazione così ampia.
E facciamo bene a parlare di pianta, perché radius nasce da una radice indoeuropea che ci parla di rami – infatti i rami si espandono a raggiera dalla pianta, in ramificazioni che iniziano grosse e vanno assottigliandosi verso le estremità. Ora, i raggi che a noi di solito vengono in mente quando sentiamo la parola ‘raggio’ non esistono o non sono di solito visibili come tali in natura (raggi di luce, di cerchi, di ruote): ma avendo in mente l’immagine della raggiera di rami è facile spiegare tutti i traslati, non solo poetici, che danno ai raggi i significati di linee di collegamento fra un punto e un altro, e di fasci di linee che partono da un punto (o che convergono su un punto).
Anche nelle scienze esatte la parola ‘raggio’ viene usata in più di un significato, come nel raggio vettore (che consente di identificare la posizione di un punto nello spazio). Tuttavia il raggio è inestricabilmente legato al cerchio e alla sfera – anche se, incredibile a dirsi, non è sempre stato così! Euclide, che parla ampiamente di cerchio e di diametro, non usa mai una parola specifica per indicare il raggio: si riferisce semplicemente alla metà del diametro, o alla distanza fra centro e circonferenza. Sarà solo con Archimede che verrà introdotto l’equivalente greco del raggio, aktís, parola che verrà poi usata da tutti gli altri scienziati di lingua greca.
In latino la parola radius aveva più o meno tutti i significati del nostro raggio; e neanche in questa lingua il suo uso in senso geometrico è precocissimo: la usa per primo Vitruvio, nel suo De Architectura (I sec. a.C.), dove scrive «Radius est linea recta a centro circuli ad extremitatem circumferentiae ducta» (il raggio è una linea retta tracciata dal centro del cerchio all'estremità della circonferenza). E sarà proprio nella prima traduzione italiana di questo testo, risalente al 1521, che comparirà, prima volta in italiano, la parola raggio nel suo significato geometrico – almeno tre secoli dopo l’uso che ne ha fatto Dante («Così com' io del suo raggio resplendo...» Paradiso XI): insomma, parole moderne per concetti antichissimi!
A parte le nozioni elementari sul cerchio e sulla sfera (non è questa la sede per ripeterle), esistono infiniti argomenti scientifici che richiedono l’uso del raggio: nelle prossime righe proponiamo una sequenza di scoperte ed intuizioni davvero sensazionale.
Quando Keplero deduce le sue famose leggi dei moti planetari, immagina anche che i pianeti si muovano a causa di forze ben precise di origine naturale, e non a causa di angeli o intelligenze celesti preposte al compito. Negli stessi anni Galileo introduce il Principio d’inerzia: «In assenza di forze che agiscano su di esso, un corpo […] procederà all’infinito di moto rettilineo uniforme». Mettendo insieme le cose, il risultato è che i pianeti, per orbitare intorno al Sole, devono essere soggetti a forze che li facciano appunto deviare da un percorso rettilineo.
Circa un secolo dopo, indipendentemente l’uno dall’altro, Huygens e Newton calcolano l’entità di queste forze nel caso delle orbite circolari; le quali risultano essere sempre dirette verso il centro (per cui verranno dette centripete) dipendendo in un certo modo dal periodo di rivoluzione e dal raggio dell’orbita.
Il passo successivo è provare a vedere cosa succede se si ammette che le forze che attirano i pianeti al Sole diminuiscano con il quadrato della distanza, quindi con il quadrato del raggio delle orbite: questa è un’ipotesi avanzata per la prima volta dall’astronomo francese Ismaël Boulliau nel 1645, ispirandosi alla propagazione della luce (la luce di una candela che raggiunge la pagina di un libro diminuisce proprio con il quadrato della distanza). Mescolando quindi la formula della forza centripeta, con l’ipotesi che la forza che attrae i pianeti al Sole sia del tipo descritto, giungono ad un risultato dirompente: una legge matematica che descrive esattamente la terza legge di Keplero, quella per cui il quadrato del periodo di rivoluzione di ciascun pianeta è proporzionale al cubo della sua distanza media dal Sole.
Le leggi di Keplero iniziano così a non essere più empiriche, ma ricavate a partire da un principio fisico che prenderà il nome di Legge di Gravitazione Universale – ma per verificarne la validità anche nel caso delle orbite ellittiche, Newton dovrà sudare sette camicie, ed avere a che fare con molti altri cerchi e molti altri raggi, in quell’opera monumentale che sono i suoi Principia.