Velocità
Parole della scienza classica
ve-lo-ci-tà
Significato Rapidità con cui si muove un corpo, calcolata come rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato a percorrerlo; più genericamente, sinonimo di prestezza, rapidità
Etimologia dal latino velocitas derivato di velox ‘rapido, pronto’, a sua derivato dalla radice vegere ‘esser vivo’.
- «Nessuno può viaggiare a velocità maggiore della luce. Nemmeno Superman!»
Parola pubblicata il 19 Luglio 2024
Parole della scienza classica - con Aldo Cavini Benedetti
La lingua è costellata di termini che parlano della scienza antica e classica, e dei suoi protagonisti. Con Aldo Cavini Benedetti, un venerdì su due recupereremo la loro splendida complessità.
Tutti sappiamo cosa siano velocità e lentezza: in un mondo sempre in mutamento, ogni trasformazione accade con un ritmo proprio, ad esempio le montagne crescono in tempi geologici, mentre i fulmini cadono… in un lampo. Si parla di velocità nelle reazioni chimiche, nella sedimentazione dei materiali fluidi, nelle capacità di calcolo di un computer; ed il concetto si estende anche a cose più impalpabili, come la velocità di lettura o di apprendimento, in un elenco sterminato di accezioni che non potremmo mai esplorare in poche righe – dunque ci occuperemo della velocità nel significato specifico di rapidità di spostamento dei corpi.
In meccanica, la velocità è definita come il rapporto fra spazio percorso e tempo impiegato – un concetto che diventa quasi scontato nel momento in cui se ne considerano le unità di misura, come metri al secondo, o chilometri all’ora.
Facciamo l’esempio di un viaggio in automobile fra Firenze e Milano: diciamo che siano 300 km percorsi in due ore. La velocità media è di 300÷2 = 150 km/h (attenti al tutor!); ma essendo partiti da fermo, e di esserci fermati all’arrivo, è ovvio che la velocità non è stata costante, ma abbiamo avuto almeno una fase di accelerazione ed una di decelerazione, con almeno un tratto in cui abbiamo proceduto a velocità maggiore di quella media (attenti all’autovelox!). Per evitare sanzioni è sempre bene guardare nel cruscotto, dove è presente il tachimetro (il greco tachýs significa ‘veloce’), l’indicatore della velocità istantanea; ma questa è il rapporto fra una distanza infinitesima e un tempo infinitesimo! Insomma la velocità è un concetto tutt’altro che banale; infatti uno dei primi ad occuparsene fu Galileo Galilei, che dovette proprio superare l’ostacolo della divisione di una lunghezza per un tempo, operazione che ai suoi tempi era ancora guardata con sospetto.
Le velocità sono dunque sempre variabili, anche se ci sono alcuni casi in cui assumono valori fissi: è il caso della propagazione del suono, o della luce; ed è proprio al modo in cui quest’ultima velocità è stata determinata che dedicheremo le righe che seguono, in una girandola di colpi di genio, e con colpo di scena finale.
Il primo tentativo di misurare la velocità della luce fu fatto proprio da Galileo, che usò lanterne per mandare lampi di luce tra due colline fuori Firenze. Successivamente Giovanni Alfonso Borelli provò sulla distanza Firenze-Pistoia, separate da circa 30 km; ma anche in questo caso il tempo di viaggio della luce era tropo breve per poter essere valutato a occhio nudo.
Nel 1675 fu fatta un’importante scoperta, ad opera del danese Ole Rømer: egli si accorse infatti che le orbite di Io, il satellite più interno di Giove, cambiavano di durata a seconda che la Terra si trovasse nel tratto della propria orbita in cui si avvicinava a Giove, o nel tratto in cui se ne allontanava. È lo stesso fenomeno, chiamato effetto Doppler, per cui la sirena dell’ambulanza cambia tonalità quando ci supera; solo che ai tempi di Rømer tale effetto non era ancora stato studiato, quindi è davvero notevole che, nonostante le difficoltà teoriche, la velocità della luce sia stata determinata nel valore di circa 220.000 km/s, con un errore inferiore al 30%. Chapeau!
Il primo esperimento terrestre coronato da successo fu fatto dal francese Hippolyte Fizeau, con un allestimento tutto sommato analogo a quello del Borelli. La misura venne fatta grazie ad uno specchio posto a qualche chilometro di distanza da una sorgente luminosa. Lungo il percorso di andata e ritorno della luce era posta una ruota dentata in grado di far passare o bloccare la luce in una serie di lampi brevissimi. Regolando opportunamente la velocità della ruota, si poteva fare in modo che un lampo di luce transitato da un’apertura, dopo avere viaggiato verso lo specchio ed essere tornato indietro, incontrasse a quel punto un dente della ruota, e non riuscisse a passare oltre. In base alla distanza dello specchio, alla velocità di rotazione ed al numero dei denti della ruota, Fizeau poté risalire alla velocità della luce commettendo un errore inferiore al 5%.
Successivamente l’esperimento fu migliorato da Léon Foucault, proprio quello del Pendolo di, nel 1862. Infine nel XX secolo si adotteranno nuove tecniche, come le interferometrie radio e laser, ottenendo valori praticamente esatti. Talmente esatti, che ad un certo punto, nel 1983, si verifica il colpo di scena che abbiamo preannunciato più sopra: la velocità della luce ha cessato di essere oggetto di misura, essendone stato definito una volta per tutte il valore di 299.792.458 metri al secondo. Al contrario, è il metro ad essere stato declassato, da unità di misura fondamentale a unità di misura derivata: esso è infatti definito come la distanza percorsa dalla luce, nel vuoto, nel tempo di una parte su 299.792.458 di secondo.
È quindi sufficiente disporre di un po’ di luce, e sapere quanto dura un secondo, per determinare quanto è lungo un metro; e oggi si riesce a stabilirlo con un’incertezza di una parte su dieci miliardi, in pratica un atomo in più o in meno! Qualcuno vuole provare... a farlo a casa?